Licenziamenti illegittimi: art 18 da riformare, dice la Consulta

La disciplina dei licenziamenti, modificata nel 2015 dal Jobs act va urgentemente riformata in quanto "materia di importanza essenziale per la sua connessione con i diritti della persona del  lavoratore e per le sue ripercussioni sul sistema economico complessivo."

Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 183 del 23 luglio  2022 dichiarando inammissibili le censure del Tribunale di Roma  che  chiedeva il giudizio di incostuzionalita per la definizione dell’indennità  economica prevista dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, cosiddetto Jobs Act,  per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese.

La pronuncia della Consulta rivolge però un aperto monito  al legislatore  ad intervenire con urgenza in questa materia,  in modo da assicurare tutele adeguate in tutti i casi di liceziamento ingiustificato. "Il protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe tollerabile" afferma,  e renderebbe necessario un suo  intervento diretto.

Il caso analizzato 

Il tribunale di Roma aveva posto la questione di costituzionalità  in particolare dove  la norma  prevede che  «ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti

dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, […] l’ammontare  delle indennità e dell’importo previsti dall’articolo 3, comma 1, […] è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità».

Il caso riguardava nello specifico una  lavoratrice, licenziata per  giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro che non raggiunge i requisiti dimensionali  previsti dalla norma .

Il  giudice riteneva che non fosse stata dimostrata la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, (…), e che l'indennità  per l'interruzioe del rapporto di lavoro, instaurato dopo il 7 marzo 2015 ,non debba essere assoggettato  al dimezzamento e con il limite invalicabile delle sei mensilità dell’ultima retribuzione percepita, proponendo quindi la questione di costituzionalita sul punto, in quanto l’indennità ndividuata «nello stretto varco risultante fra tre e  sei mensilità» sarebbe inidonea a garantire il  riconoscimento di un’indennità personalizzata,  coerente con i requisiti di adeguatezza e  dissuasività   come affermato nelle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020 della  stessa Corte.

 Il giudice prospettava, quale soluzione idonea, anche l’eliminazione del regime speciale  previsto per i piccoli datori di lavoro.

La corte costituzionale afferma che non è incostituzionale la scelta di un indennizzo economico in luogo della reintega nel posto di lavoro  respingendo le motivazioni del Tribunale in quanto troppo specificamente legate al caso concreto.

Ricorda che nelle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020 si è affermato che non sarebbe costituzionale un criterio di computo dell’indennità   parametrato sulla sola anzianità di servizio ma che non spetta comunque  a questa Corte scegliere, tra i molteplici criteri che si possono ipotizzare, quelli più  appropriati.

 Sottolinea anche che da una parte  va tenuto conto della a natura fiduciaria del rapporto di lavoro  nell’ambito delle descritte realtà organizzative, sull’opportunità di non gravarle di oneri eccessivi e, infine,  sulle tensioni che l’esecuzione di un ordine di reintegrazione potrebbe ingenerare (sentenze n. 2 del 1986, n.189 del 1975 e n. 152 del 1975)

Dall'altra parte concorda però sul fatto che l’assetto delineato dal d.lgs. n. 23 del 2015 è profondamente mutato rispetto a quello analizzato dalle più risalenti pronunce  e che  la specificità  delle piccole realtà organizzative, che pure permane , non può giustificare un  sacrificio sproporzionato del diritto del lavoratore di conseguire un congruo ristoro 

In conclusione afferma la  necessità che l’ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai  datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti.