Diritto di sciopero: quando è antisindacale la condotta del datore di lavoro

Con l’ordinanza n. 29740 dell’11 novembre 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – è tornata a pronunciarsi sul delicato equilibrio tra potere organizzativo del datore di lavoro e tutela del diritto di sciopero garantito dall’art. 40 Cost. 

Il caso riguardava un procedimento ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, promosso da un’organizzazione sindacale contro le disposizioni di servizio adottate da un’impresa concessionaria autostradale in occasione di agitazioni del personale addetto all’esazione. Le procedure interne – da adempiere prima e dopo l’astensione – erano state giudicate dai giudici di merito come potenzialmente idonee a comprimere la libertà dei lavoratori nel determinarsi sull’adesione allo sciopero.

La Suprema Corte ha confermato integralmente le decisioni di primo e secondo grado, chiarendo che, pur restando salvo il potere datoriale di organizzare l’attività e prevenire danni alla produzione, sono illegittime le misure che, in concreto, incidono sull’effettivo esercizio del diritto di sciopero o ne alterano le modalità tipiche.

Vediamo maggiori dettagli.

Il caso: le disposizioni aziendali prima e dopo l’astensione

Il giudizio traeva origine da due disposizioni di servizio emanate nel 2016, relative alle “procedure da adottare in occasione di agitazioni sindacali del personale di esazione”. La Corte d’Appello aveva ritenuto antisindacali sia gli adempimenti da eseguire prima sia quelli imposti dopo l’inizio dello sciopero.

Secondo il giudice di merito, le procedure preliminari – della durata variabile tra 15 e 60 minuti – obbligavano di fatto gli addetti a decidere anticipatamente la propria adesione all’astensione: un lavoratore non avrebbe potuto scegliere “in modo istantaneo” se partecipare allo sciopero, poiché tale adesione presupponeva l’avvenuto completamento di attività propedeutiche imposte dall’azienda.

Per quanto riguarda gli adempimenti successivi all’avvio dello sciopero, la Corte territoriale aveva rilevato che le attività richieste – pur non retribuite – richiedevano un tempo apprezzabile e risultavano presidiate da possibili sanzioni disciplinari. In assenza di prova che tali procedure mirassero a preservare la capacità produttiva dell’impresa, esse risultavano idonee a limitare oggettivamente il diritto del lavoratore di aderire allo sciopero.

La società aveva contestato la decisione sostenendo, tra l’altro, la necessità di tutelare il proprio patrimonio, in particolare rispetto alla gestione degli incassi effettuati dagli esattori, e richiamando l’art. 41 Cost. sul diritto dell’imprenditore di organizzare l’attività economica.

Aveva inoltre dedotto la violazione dell’art. 2697 c.c., ritenendo di non essere gravata dell’onere di dimostrare l’esistenza di soluzioni alternative.

Le decisioni di merito e di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto entrambe le censure della società confermando la natura antisindacale delle disposizioni organizzative contestate.

Richiamando il consolidato orientamento costituzionale e di legittimità, la Suprema Corte ha ribadito che:

  • il diritto di sciopero può comportare un danno alla produzione, considerato fisiologico e connaturato alla funzione di autotutela collettiva.
  • È invece illegittimo tutto ciò che possa determinare un danno alla produttività, cioè un pregiudizio irreversibile alla possibilità dell’impresa di proseguire l’attività o alla sua integrità organizzativa.

In questo quadro, il datore di lavoro mantiene il potere di adottare misure idonee a contenere gli effetti lesivi dello sciopero, purché tali interventi non comprimano in alcun modo l’effettivo esercizio del diritto costituzionale. La Corte ha ritenuto congrua la valutazione dei giudici di merito secondo cui le procedure imposte agli esattori:

  • prima dello sciopero limitavano la libertà del lavoratore di scegliere se aderire all’astensione, poiché richiedevano attività che solo chi avesse già deciso di scioperare avrebbe potuto svolgere;
  • dopo l’inizio dello sciopero imponevano un’attività lavorativa non retribuita, incompatibile con la natura stessa dell’astensione e aggravata dalla previsione di possibili sanzioni disciplinari.

Inoltre, la Corte ha respinto la censura sull’onere della prova: non vi era stata alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., poiché la contestazione riguardava non la ripartizione dell’onere probatorio, ma la valutazione delle prove svolta dal giudice di merito, profilo non censurabile in sede di legittimità.

La Cassazione ha così confermato la condotta antisindacale e rigettato il ricorso datoriale, condannando la società al pagamento delle spese processuali e richiamando l’obbligo di versamento dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’art. 13, commi 1-bis e 1-quater, del D.P.R. 115/2002.